Due anni dopo l’inizio della rivolta contro Assad, 1,2 milioni di persone hanno lasciato il paese, mentre altri quattro milioni sono sfollati all’interno dei confini, secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.
“Dobbiamo fare la fila per tutto. Non c’è privacy. Non sappiamo nemmeno dove stendere i nostri vestiti” ha dichiarato Meryem, madre di cinque figli e con il volto stanco, mostra la corda tesa tra la tenda e i vicini di casa, che utilizzano a loro volta.
Dal momento che il villaggio della regione di Idlib è aspramente conteso tra l’opposizione armata al Assad e le forze del regime, i 40.000 “residenti” del campo profughi, annidati vicino al confine con la Turchia sono esausti alla fine di un inverno freddo e umido.
Fuggendo dai bombardamenti punitivi contro le città liberate dai ribelli, sono arrivati nel mese di novembre 2012 nella campagna Atimah (6000 abitanti), la sua vicinanza alla Turchia li protegge dalle granate di Assad. “Abbiamo distribuito 200 tende. E’stato allestito un campo provvisorio, in attesa di un trasferimento in Turchia. Il giorno dopo, i turchi hanno portato pane, acqua e altre tende, ha raccontato Anas Salem, uno dei pionieri. Il risultato? oggi 1.900 famiglie sono ancora qui. ‘
Ad Ankara, che già ospita 220.000 rifugiati siriani nel suo territorio, far sostare gli sfollati sul confine dal lato siriano è stato un modo per fermare il flusso. Intorno a Atimah altri quattro tendopoli sono emerse sui campi argillosi e tra gli uliveti. Ognuno si organizza come può. Anas Salem mostra i serbatoi che scarseggiano di acqua potabile e i rudi servizi igienici. Degli Hustlers (persone attive) hanno installato piccole bancarelle dove vengono venduti i prodotti importati dalla Turchia locale.
Il campo comprende un barbiere, una tenda adibita a moschea, ma non c’è una scuola o un cimitero, mentre otto persone sono rimaste ustionate quando delle candele accese hanno bruciato le tende. E’ stata improvvisata una clinica ma è impotente per combattere la diffusione della scabbia e l’invasione dei pidocchi. “Per niente al mondo vorrei installare la mia casa qui!” confessa Abou Abdou, un guerrigliero che aiuta a trasmettere gli aiuti, e la cui famiglia è rimasta in paese.
Un religioso rispettato da tutti, Tarysi Saleh, è stato nominato direttore del campo, e agisce come un punto focale per la ONG turca, quella degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia, e del Qatar. “Grandi quantità di aiuti sono stati dirottati prima di arrivare qui”, lamenta lo Sheikh dalla barba bianca, denunciando i rappresentanti autoproclamati dei profughi all’estero.
Il loro problema principale, ha spiegato, è quello di preservare la popolazione dalle rivalità esplose tra i gruppi ribelli, che cercano di imporre la loro legge. Sheikh Tarysi non nasconde la sua stanchezza. “Anch’io sono arrivato da qualche giorno, ha asserito, cerco di abituarmi all’idea che possiamo rimanere qui per anni”.